Vento di fronda

Vento di fronda

So che le guerre sono tante almeno quante le fiabe e so che pensate di averle sentite tutte ormai. Quelle tra popoli, tra amici, tra fratelli, storie raccontate in lungo e in largo. Ma se dovessi ricordarne una, nel libro dell’umana follia, sarebbe quella tra Polabi e Vendevi.
Un paese spaccato in due, come tra bianco e nero, dall’oggi al domani. A testimoniarlo sette giovani, sette amici, sette compagni di sventura. Cosa significa crescere insieme, quando si leva un vento di fronda che tutto divide?

Vento di fronda è uno dei giochi che preferisco stare a guardare. Non ci sono schede personaggio, ogni giocatore riceve una serie di lettere, memorie e pagine di diario: il gioco sta nel chiedersi che tipo di persona scriverebbe quelle cose, proprio in quel modo, e svilupparne la personalità nelle sette scene, a sette anni di distanza, previste dallo scenario. L’assenza di un profilo coerente, spiegato per filo e per segno, lascia spazi vuoti che solo la creatività degli interpreti può colmare.

L’ambientazione prova a fare l’equilibrista tra richiami a guerre recenti e la totale libertà del fantastico, con l’intento di delineare una terra e un passato comune ai personaggi attraverso le storie, le fiabe e le leggende, anziché i dettagli e i fatti di cronaca. Non sono mai stato capace di mettermi a mio agio con il realismo, trovo pesante fare i conti con le posizione già maturate dalle persone su temi d’attualità, per questo preferisco avere e offrire a chi gioca una tela vuota e una tavolozza inesplorata per tutti.

In fondo il coinvolgimento e la commozione hanno poco a che vedere con la razionalità, altrimenti non avrebbe senso appassionarsi a vicende che sappiamo essere di pura finzione. Come quella di 7 amici, che potete leggere qui.


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